S.Barbara alla grotte

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Il sito denominato “S. Barbara alle grotte” presenta caratteri geomorfologici tipici delle pareti rocciosi della Costa d’Amalfi, ricollegabili alla natura di calcari carbonatici percorsi da grosse fatturazioni. La parete, infatti, mostra importanti fenomeni carsici in particolare nelle immediate vicinanze della cavità più ampia, quella che è stata interessata dalla ricognizione di superficie e dalla ricerca documentaria. In antico, in particolare, a partire dal medioevo, questa zona era interessata dal  passaggio della strada che dalla sottostante Atrani conduceva, dopo aver percorso il fondovalle del torrente Dragone, nella zona più esposta a S dell’altopiano su cui sorge la città di Ravello. La strada in questione, il cui tracciato è ancora visibile in alcuni resti di sostruzioni, arrivava da Nord, passando immediatamente sotto una casa costruita attaccata alla roccia e che per i caratteri tipologici e la tecnica costruttiva, in uno ai materiali utilizzati, deve essere ricondotta, per quanto riguarda la cronologia, alla costruzione dei terrazzamenti nell’area che negli antichi documenti viene chiamata di Ponticeto, costeggiava il piede della parete su cui si apre la grotta e risaliva verso l’area dove sorge ora il monastero di S. Chiara. Il salto di quota tra il piano della grotta e la strada è  attualmente stimabile in  circa 5 metri. Il complesso di strutture presenti nella grotta e nelle sue vicinanze è schematizzabile in più gruppi: i resti di una calcara all’esterno della grotta, una vasca bassa sempre esterna alla grotta,un lacerto di muro con tracce di intonaco bianco con buco irregolare sul fronte, due vani addossati l’uno all’altro, uno, il più interno,  usato come cisterna (la bocca di pozzo ne testimonia l’uso), l’altro con un accesso da S e un piano di calpestio a -0,85m dal piano della grotta, i resti della cappella interamente scavata nella roccia, due strutture a vasca, di cui una più arretrata e l’altra leggermente più piccola, uno scasso nella roccia limitato ad O da un basso muro in pietre, parallelo alle due vasche e perpendicolare alla cappella, un vano coperto a volta, utilizzato come cisterna, un gruppo di sostruzioni che reggono una stretta scala che conduce al livello più alto della grotta. Le strutture in muratura denunciano un’opera di regolarizzazione della cavità rocciosa, dal cui scasso deve essere stata recuperata la pietra per poter costruire i setti murari, tenuti insieme da una malta molto chiara (in contrasto con il colore dell’intonaco del primo muro, come pure con quello della vicina casa), in cui si vedono chiaramente inclusi vulcanici di colore grigio,molto piccoli. Dal sopralluogo dei materiali sciolti, derivati dallo scollamento progressivo delle strutture si rileva la presenza di solo due piccole pietre che non derivano dallo scasso ma presentano caratteri di rotolio meccanico prodotto dall’acqua (levigatura eccessiva della superficie). Il terreno circostante la grotta risulta, comunque, coperto da uno strato di ghiaia di piccolissime dimensioni, derivato dall’allettamento delle scorie di progressiva usura delle strutture. Non sono presenti sorgenti, ma l’acqua proveniente dallo stillicidio della sovrastante volta rocciosa continua a raccogliersi nelle vasche. Lo stato dei luoghi, in uno con la topografia dell’area, hanno permesso di recuperare numerosi elementi che, pur essendo ancora allo stato indiziario, fanno propendere verso l’identificazione di un sito la cui frequentazione va ben aldilà dei termini cronologici di cui si è sempre discusso. La presenza, infatti, di numerose cavità circostanti, collegate alla grotta principale da percorsi agevoli e diretti, insieme alle caratteristiche morfologiche della cavità derivate da un’azione antropogenetica, consistita soprattutto in scasso della roccia, regolarizzazione di alcune parti della cavità, impianto di una cappella e non ultimo il toponimo S. Angelo, ricordato in un documento del 1039, raccolto nel Corpus Diplomaticum Amalphitanum, possono far ipotizzare la frequentazione della cavità da parte di un eremita nell’ambito del fenomeno dell’eremitismo basiliano presente in numerosi luoghi della Costa d’Amalfi e ricollegabile ad un periodo antecedente all’anno mille. Le ipotesi ricostruttive supposte dagli altri relatori hanno permettono di prevedere, a mio avviso, addirittura quattro fasi di frequentazione della cavità, a cui si ricollegano le varie strutture.
Una prima fase, anteriormente all’anno 1000, vide la presenza in questi luoghi di un eremita o anche più rappresentanti del monachesimo basiliano, che dovettero operare limitate modifiche ai luoghi; a questo periodo si dovrebbero ricollegare il poggio in alto e qualche regolarizzazione dell’accesso dal tratturo sottostante. Quando l’importanza del luogo dovette crescere (a questo punto il sito mostra i connotati dei siti maicaelici: il toponimo S. Angelo, ricordiamo, è attestato), qui si dovettero cominciare ad operare trasformazioni più nette ma sempre in collegamento con il primitivo luogo di dimora dell’eremita; allora si costruì il vano a N della cappella che ancora non esisteva, si fecero le scale (che presentano una malta più scura) per salire al nucleo primitivo, dove il santo uomo aveva dimorato, si ricavò l’ambiente con le due strutture parallele, che doveva servire per usi cultuali (se sarà possibile fare un’indagine stratigrafica per rintracciare il piano di calpestio ora sottoposto ad uno strato di brecce e valutare le tracce di altari, sarà più facile determinare l’uso anche delle due ali laterali) e si determinò il corridoio, di cui si è parlato in precedenza e a cui si accedeva direttamente dal basso non essendoci ancora il pianoro artificiale né la rampa di accesso. In seguito qui si stabilì una cava (Camera scrive che nel XIV secolo una cava di pietre colorate operava nei luoghi circostanti la grotta) ed allora dovette esserci il passaggio al culto di S. Barbara, che peraltro a Ravello, come è stato detto, era già presente, in quanto protettrice dei minatori e delle arti che usano il fuoco. Si regolarizzò ulteriormente il pianoro e si scavò la cappella con strutture murarie e si costruirono gli ambienti a S, di cui quello più arretrato doveva essere in origine il campanile, data la presenza di scale che si interrompono sulla copertura. Quello più esterno, invece, potrebbe essere un vano di servizio per la cappella. La cappella (la ricostruzione è suggerita da altre costruzioni simili a cui si farà cenno in seguito) doveva essere costituita in alzato da muri spessi lateralmente circa 0, 50 m (se ne osservano le tracce delle imposte a terra); non doveva  essere coperta, mentre il disegno delle absidiole doveva essere affidato interamente alla struttura muraria (l’abside di sinistra è scavata, quella di destra è poco più che accennata). La vasca esterna alla cavità è da ricollegare alle attività di produzione della calce che dovette continuare per molti secoli e che vide lo smantellamento delle strutture murarie della cappella quando questa cadde in disuso (anteriormente al 1577, propenderei per un periodo tra il 1493 e il 15771), il riutilizzo del piano in battuto per la costruzione della seconda vasca a N della Cappella e l’ampliamento della calcara che mostra due fasi, di cui la seconda previde un ingrandimento della capacità di carico, nonché la trasformazione di qualche vano in vasca di raccolta dell’acqua. Il riuso del materiale della cappella e degli altri elevati per la produzione della calce è testimoniato dall’esigua presenza nell’area di crolli. La calcara dovette funzionare almeno fino a quando ci furono strutture da smontare e riutilizzare, ma soprattutto fino a quando il suo uso non divenne antieconomico per la distanza dal luogo dove utilizzare la calce.

Del 1493 è un documento contenuto nell’Archivio Vescovile di Ravello che ricorda la vendita di un castagneto di proprietà della Chiesa di S. Barbara, mentre già la visita del 1577 attesta che la cappella era non più frequentata.

Ravello_SBarbara_alle_grotte.pdf

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